Debito Pubblico Italiano

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venerdì 22 febbraio 2013

Austerity o Default ?

Austerity o Default ?


Essenzialmente le elezioni 2013 si giocano su questi due concetti. Su questi due concetti si divide fondamentalmente la seguente analisi sull'Austerity e il Default o meglio rinegoziazione del debito pubblico in connessione con la permanenza o meno nell'Euro. L'articolo è diviso in 5 parti:

  1. Austerity
  2. La Germania e l'Austerity
  3. Permanenza o uscita dall'Euro ?
  4. Default e Rinegoziazione
  5. Conclusioni


1) AUSTERITY


La persistenza di squilibri economici e problematiche delle banche centrali al seguito del crollo del sistema monetario internazionale di Bretton Woods, hanno portato prima ad una forte deregolamentazione dei mercati finanziari e in seguito all'economia del debito e la cosidetta finanza creativa, in particolare negli ultimi 15 anni, come voluta scelta per cercare di “colmare” i grossi vuoti e squilibri economici provocati dalle politiche di globalizzazione e free trade globale che, come più volte abbiamo trattato in passato, hanno in sostanza drenato la ricchezza economica dall'Occidente verso la Cina e i BRICS ( Economie emergenti ), mentre la deregolamentazione esasperata nel mercato dei derivati e nella speculazione monetaria, tipo Forex, ha reso il mercato e l'economia debole e distorta rispetto il suo reale valore industriale, aprendo peraltro il sistema monetario internazionale ora basato su cambi fluttuanti, alla guerra valutaria. Bisogna tenere presente che la guerra valutaria non si fa solo svalutando la propria moneta oltre il valore di mercato, ma anche investendo liquidità sui mercati esteri per attaccare un'altra moneta, spingendola generalmente verso il rialzo favorendo così le proprie esportazioni a danno dell'economia “attaccata”. Questa dinamica può anche però essere sfruttata a proprio vantaggio, seppure con rischi potenziali non da poco, come fanno gli USA con la Cina che ha interesse a sostenere il dollaro per reggere le proprie esportazioni verso gli Stati Uniti, oltre che valorizzare le proprie riserve in dollari, costituendo una volontaria politica di legame fra le due potenze.

In ogni caso permangono squilibri macroeconomici notevoli, ossia per essere più tecnici vi sono squilibri economici notevoli fra la spesa ( USA ) e il risparmio ( Cina ) che derivano prettamente dall'ingente deficit commerciale degli USA superiore ai 700 miliardi di dollari e dei paesi industrializzati nei confronti della Cina in Surplus e che porta quindi ad avere deficit ( USA ) e surplus ( Cina ) nella spesa corrente.
Una fase questa in cui in Occidente diminuisce il potere di acquisto e quindi diminuisce la forza economica della moneta la cui economia tende a divenire un castello di carte e non più una struttura e architettura solida basata sul patrimonio industriale e produttivo i cui capitali invece delocalizzano.

Il Credit Crunch essenzialmente proviene da questi fenomeni, in primis soldi che dall'economia locale finiscono con la produttività, l'industria e quindi l'occupazione in asia and co a causa di forti squilibri economici, accentuati certamente da concorrenza sleale e accordi free trade che assecondano tale deriva economica lasciando il vuoto o il debito importato nel sistema bancario e finanziario occidentale.
Secondo c'è una sovrastruttura di debiti puramente speculativi, che costituisce l'economia del debito, ossia titoli basati su debiti o crediti su ipotetici guadagni futuri e che naturalmente non si riesce più a pagare/realizzare e che in altre parole sono investimenti sbagliati, vedi ad esempio investimenti in derivati di vario tipo come futures ecc.. che grazie alla deregolamentazione sul mercato dei derivati, vengono pure rimessi in garanzia per ottenere altri debiti e ottenere altri crediti, un po' come le scatole cinesi del debito. Questo esemplificando molto il discorso, ma in sostanza alla fine è quello che si ha.
Sia chiaro che futures e altri derivati sono strumenti legittimi di investimento ad alto rischio per Hedge Funds o singoli investitori, ma appunto è insensato basarci l'architettura e gli assets di strutture pubbliche, come comuni e stati o come il capitale fondante e strutturale di una banca, assicurazione ecc..
Infatti una vecchia massima del buon trader insegna che i soldi investiti devono essere soldi che siamo disposti a perdere, che in poche parole non ci servono per mangiare, pagare l'affitto o gestire il funzionamento della nostra attività. E' evidente che si è perso molto di questa vecchia perla di saggezza del grande capitalismo di libero mercato occidentale, nel momento in cui si prendono i soldi dei conti correnti, delle pensioni o delle assicurazioni sanitarie e si investono in borsa come su una roulette da gioco, tanto più poi perché dopotutto sono “troppo grandi per fallire”.

Personalmente chi scrive ritiene che il buon senso si sia iniziato a perdere con l'abolizione dello Steagall-Act, ossia la separazione fra banche e attività di investimenti finanziari e banche per la gestione di conti correnti e credito per imprese e cittadini. Nel merito rimandiamo ad un'estratto tratto da “La Crisi non è finita” di Nouriel Roubini e Stephen Mihm (Serie Bianca Feltrinelli), che spiega molto bene come e quanto la mancata separazione fra attività di investimento e altre attività di credito e assicurazione, abbia finito per indebolire notevolmente l'architettura finanziaria occidentale, soprattutto aggiungiamo, nel momento in cui si apre alla globalizzazione con Cina and co. Per semplicità al momento rimandiamo a questo link:







2) La Germania e l'Austerity

L'Austerity è anche la linea del governo Merkel che scalzata dalla Cina come esportatore globale, forte dell'Euro proietta le sue esportazioni e purtroppo anche il suo debito su tutta l'Eurozona.
E' con Schroeder prima e Merkel poi, che la Germania risolve i suoi problemi di competizione globale attraverso l'egemonizzazione dell'eurozona e tramite l'aumento della spesa pubblica a sostegno delle aziende e lavoratori tedeschi, grazie al surplus nella bilancia commerciale che porta un surplus nel bilancio della spesa corrente. Bisogna capire che la Germania può fare questo grazie all'Euro, che però finisce sempre più per essere una vera e propria morsa valutaria posta intorno al collo degli altri membri dell'Eurozona.
Naturalmente le altre economie Europee non sono del tutto come quella tedesca ahimè, e quindi si ha che nel momento in cui l'export tedesco predomina, ecco che le altre economie europee si svalutano. A fronte di questo indebolimento, la Germania invece di investire sull'economia e sulla produttività europea, decide invece di investire sui titoli di stato di questi paesi a sostegno della necessaria spesa di sostegno sociale e dell'appoggio politico, contribuendo però all'indebolimento strutturale delle economie periferiche dell'Europa e di conseguenza ad un aumento del loro indebitamento.

Di opinione simile è infatti anche uno studio di Morgan Stanley pubblicato il 17 gennaio dal quale traspare la trappola costituita dall'Euro per le altre nazioni Europee. E che il vantaggio non sia da attribuire solo alle riforme che la Germania pone in atto dai primi anni '90, quanto piuttosto alla cattiva politica tedesca in Europa è evidenziato non solo dagli Italiani, ma anche da analisti tedeschi di rilievo quali ad esempio Wolfgang Münchau, editorialista del Financial Times che fece piuttosto innervosire Mario Monti per le sue critiche. Munchau che evidenzia queste cose da anni, pone l'esempio delle riforme pensionistiche italiane che dopo Dini e Maroni è riconosciuto come uno dei più sostenibili al mondo e che se fosse solo per questo l'Italia dovrebbe quindi essere al primo posto.
In realtà la Germania pose le riforme e una parte dell'investimento del surplus di spesa come dicevamo per sostenere le aziende e i lavoratori e quindi diminuire così il costo per unità di prodotto. Ma come osserva Munchau, questo costituisce un vantaggio solo se è un paese a farlo e gli altri no. Per cui se si seguissero i consigli della Merkel sulla diminuzione del costo per unità di prodotto, non faremo altro che tornare al punto di partenza permanendo la supremazia commerciale della Cina. Sarà anche per questo che recentemente alla fine a denti stretti, anche il governo Merkel ha finalmente aggiunto che il problema vero non è la Grecia, ma la Cina.

Me è Jörg Bibow, economista tedesco e docente al Levy Economics Institute del Bard College di New York a criticare fortemente e più duramente il governo di Berlino in un recente studio del maggio scorso in cui denuncia come sia stata la Germania stessa sin dall'inizio a porre le basi per la deflagrazione dell'Euro accusando i tedeschi nientemeno che di indisciplina.
Come spiega nel suo studio “The Euro debt crisis and Germany's Euro Trilemma” l'euro doveva essere il culmine di 60 anni di cooperazione economica, mettendo da parte la competizione basata sulla modifica dei tassi di cambio. Con l'introduzione dell'Euro però la competizione fra nazioni europee è passata dai tassi di cambio al costo del lavoro e al tasso di inflazione, concretizzando la svalutazione delle economie della periferia Europea.
Furono infatti per primi i tedeschi a violare il trattato di Maastrich sin dal 1996 quando attuarono una politica di contrazione dal 2% circa stipulato dal trattato sino a quasi lo 0% di inflazione, ponendo così le basi per la futura destabilizzazione dell'Unione rappresentata da una perdita di competitività degli altri paesi comparabile ad una svalutazione del 20%.

«La regola aurea di una unione monetaria richiede che le tendenze nei costi per unità di prodotto nazionali stiano in linea con il tasso di inflazione comune al quale i membri dell’Unione si sono impegnati, ma questa è stata violata», tuona Bibow. «Una realtà ben nota è che la tendenza del costo per unità di prodotto in Germania si è allontanata per un certo tempo dalla norma di stabilità del 2 per cento, arrivando a sfiorare lo zero in regime di euro (iniziato già l’1 gennaio 1999, quando diventa possibile fare operazioni finanziarie in euro, mentre la moneta entra in circolazione l’1 gennaio 2002, ndr). Quando la Germania divenne supercompetitiva, i suoi soci nell’euro persero competitività in una misura equivalente a una svalutazione del 20 per cento in epoca anteriore all’unione monetaria».

Non solo ma come dicevamo in precedenza l'inevitabile indebitamento derivante degli altri paesi dell'Eurozona fu persino incoraggiato tramite l'acquisto dei titoli di stato. Sempre Bigow scrive in un editoriale su El Pais:

«I flussi di credito dalla Germania furono fondamentali nel rendere possibile che persistessero divergenze all’interno dell’Eurozona e che crescessero gli squilibri. Lì risiede anche l’origine dell’odierna esposizione della Germania ai problemi di solvibilità nella periferia europea. Questi dati di fatto dovrebbero essere ben noti, ma l’interpretazione ufficiale scarica la colpa interamente sui paesi debitori».

E difatti tale percentuale del 20%, è ritenuta da più parti la necessaria svalutazione monetaria di cui avrebbe bisogno ad esempio un paese come l'Italia per tornare a competere su una base più sana e naturale di economia di mercato, se non di più dato che la permanenza in questa situazione continua a svalutare e indebolire le economie della periferia dell'Eurozona, come testimonia la fluttuazione degli spread, ora calmierata grazie ai massicci acquisti di titoli della BCE disposta a farlo in modo illimitato come promesso da Draghi.
    3) Permanenza o uscita dall'Euro ?
In effetti l'euro alla fine, complice anche la volontà tedesca come abbiamo visto, altro non è che un accordo di fissazione dei cambi e quindi è perfettamente normale la fluttuazione e diversificazione degli spread. De facto così è nato come abbiamo visto e così di fondo è stato sin'ora.
Nei rapporti fra diverse economie, per una semplice legge economica, se le rispettive monete non sono libere di fluttuare, allora fluttua l'economia. Questo perché al contrario di quanto vorrebbero fare le politiche socialiste, le leggi economiche non si possono controllare..
E' necessario quindi operare delle manovre correttive di vario tipo per evitare l'inflazione.
Nel caso dell'Euro, il relativo apprezzamento della moneta, porta per legge economica, la svalutazione del potere d'acquisto dei salari nelle altre nazioni. Questo dato di inflazione lo si può vedere in modo lampante confrontando gli indici di spread, gli stipendi e il tasso di costo del denaro fra nazioni europee come Grecia, Italia, Spagna e la Germania.

Le politiche sui cambi fissi in realtà sono già clamorosamente fallite in passato. Man mano che le condizioni economiche si evolvono, onde evitare inflazione, può divenire molto complesso, difficile e soprattutto costoso conservare politiche economiche a sostegno di tale cambio fissato in precedenza, men che meno poi quando permangono squilibri economici. Prendiamo ad esempio l'Italia. Negli ultimi anni da qui come nel resto d'Europa, man mano che la Germania espandeva le sue quote di esportazioni in Europa, l'Italia come altri paesi ha visto ridurre le proprie. Se ci fossero ancora le valute nazionali, sarebbe logico dire che a causa di una riduzione della domanda verso i prodotti italiani, per una normale legge economica, la lira o il neo euro-italiano sarebbe svalutato o si svaluterebbe nel caso fosse lasciato libero di fluttuare. Svalutato naturalmente rispetto la moneta tedesca, ossia in assenza di cosiddette politiche di svalutazione competitiva, ma secondo una normale e naturale correzione economica valutaria secondo il valore di mercato, in questo caso inferiore.

Nel caso di cambio fisso se non svaluta il cambio, svaluta l'economia e quindi il potere d'acquisto ossia si ha inflazione interna dell'economia reale, poiché l'inflazione è data dal rapporto fra salari e prezzi.
Per evitare questo fenomeno è necessario che aumenti la domanda verso la produzione interna. Fermo restando l'innovazione nell'offerta è necessario che sia proprio l'economia più forte a sostenere delle importazioni maggiori e ove il caso finanziando direttamente le economie più deboli, fungendo da Core Economy come ad esempio hanno fatto gli USA dal 1945 in poi, divenendo il motore economico del pianeta dando in particolare all'Occidente Alleato sviluppo e stabilità, e in realtà accumulando anche problemi come premesso all'inizio nel merito degli squilibri economici, ma ci torneremo meglio in un' altra occasione.
Non a caso nel merito un'altro economista tedesco suggeriva di aumentare gli stipendi in Germania, al fine di aumentare le importazioni tedesche. Personalmente dubitiamo che sia la misura più efficiente, tanto più che gli stipendi tedeschi sono già il doppio o il triplo dei nostri effettivi circa, ma in ogni caso segue la linea dell'aumento di importazioni ed eviterebbe la svalutazione delle economie della “periferia” Europea, gravate anche dalla pressione migratoria che aumenta l'offerta di forza lavoro a confronto con una diminuzione di domanda della stessa.
Ulteriore proposta potrebbe essere un maggiore sviluppo dell'economia interna tedesca che ha ancora molto spazio per la crescita, portando così una minore dipendenza dalle esportazioni e di conseguenza riuscendo ad assorbire più importazioni, in altre parole parificando maggiormente la bilancia commerciale. Basti pensare alla parte est, non solo la Germania Est, ma anche il confine est dell'ex Germania Ovest, tradizionalmente territori meno sviluppati e il cui miracolo di crescita si deve all'amministrazione Khol gettando le basi per la riunificazione. C'è ancora molto spazio di crescita in Germania e tale crescita può sostenere l'offerta dell'economia Europea basandosi su un'economia di mercato e non competizione valutaria o inflattiva ecc. come visto sin'ora.
Data la scala dell'economia e del commercio attuale, sarebbe ad ogni modo auspicabile una maggiore cooperazione e coordinazione politica fra i governi delle nazioni europee.

L'alternativa è quella di lasciare che tali paesi, come ad esempio la Grecia, escano almeno temporaneamente dall'Euro, al fine di lasciare “svalutare” la propria moneta ( rispetto quella tedesca ), di modo che il valore corretto corrisponda di più all'economia nazionale. In questo modo salendo di prezzo le merci di importazione, principalmente tedesche, ma non solo, i Greci torneranno a consumare i propri prodotti e anche ad esportarli a prezzi vantaggiosi per le economie più forti, permettendo quindi una rivalutazione dell'economia nazionale e della ricchezza Greca che porterà infine la possibilità di un rientro in area Euro quando l'economia sarà migliore. Una manovra di questo tipo necessita di circa un paio di anni. E' infatti falso dire che tale svalutazione porti inflazione, ciò che si ha in questi casi è agflazione ossia aumento dei prezzi dei beni di importazione, che in questo caso avrà anche effetti positivi, poiché spingerà i consumi e la spesa verso la produzione domestica, per poi aprirsi ai consumi internazionali naturalmente man mano che la ricchezza Greca tornerà a crescere. Certo è un'economia più da nazione in via di sviluppo, e in realtà è così che andrebbe trattata la Grecia e non solo lei a dire il vero, per come sono state ridotte.
In Italia possiamo ricordare anche la svalutazione del '92, che vide molto attivo il ruolo del fondo di George Soros che “puntando” contro lira italiana e sterlina inglese, contribuì al crollo delle valute, per quanto a dire il vero già in difficoltà per proprio conto. Le valute crollarono così tanto da uscire persino dallo SME. Gli Italiani lo ricordano come la manovra di Amato per salvare la moneta e per, aggiungiamo, farla rientrare nello SME. La veerità era che l'Italia rischiava di andare in bancarotta nel giro di un paio di anni. Ebbene la svalutazione che ci fu e fu notevole di circa il 30%, non comportò inflazione interna di pari andamento che invece si attestò intorno al 6%.

E' di questa opinione anche uno dei massimi economisti tedeschi, Hans-Werner Sinn non a caso a capo dell'Ifo, una delle principali associazioni ( Think Tank ) di economia in Germania e intervistato nel merito dallo Spiegel http://www.spiegel.de/international/europe/top-german-economist-restructuring-greece-within-the-euro-is-illusory-a-816410.html

Nell'intervista del febbraio 2012 quando si stava decidendo per il maxi salvataggio alla Grecia per 170 miliardi di Euro, Sinn diceva in sostanza quanto da tempo è scritto anche su queste pagine, ossia che i costosissimi salvataggi per la Grecia non serviranno a nulla, sono una perdita di tempo, buoni perché il governo di turno rimandi la cosa sino a dopo le elezioni, ma che finisce per aggravare la situazione.

Perchè ?

Perchè, risponde Sinn, il debito esterno della Grecia aumenta ogni anno che passa, fino a quando uscirà dalla moneta dell'unione. In questo modo ci si allontana sempre di più dal risolvere il problema. Problema che nel caso della Grecia è la scarsa competitività. I prestiti a basso costo che l'euro ha portato al paese, hanno artificialmente aumentato i prezzi e gli stipendi, e il paese deve tornare indietro da questo alto livello.
Questo è particolarmente vero, aggiungiamo, prima dello scoppio della crisi in Grecia, ma è una situazione che di fondo permane a causa della facilità di accesso al mercato tedesco dato dalla moneta unica.

Ma allora le nazioni europee non dovrebbero aiutare la Grecia ?

In realtà secondo Sin le nazioni dovrebbero contribuire in maniera tale da facilitare l'uscita della Grecia dall'Euro. Il governo greco dal canto suo dovrebbe usare tali soldi per nazionalizzare le banche del paese e prevenire lo stato dal collassare permettendo così a stato e banche di continuare a funzionare attraverso la turbolenza che verrà nel paese dall'uscita dall'Euro. Un po', aggiungiamo, come gli aiuti per le nazioni in via di sviluppo. Aiuti internazionali che andranno in particolar modo ad alleviare la popolazione da dure condizioni economiche che la colpiranno, seppure solo in linea temporanea, circa 1 o 2 anni.
Questo perché la dracma si svaluterà immediatamente stabilizzando la situazione molto velocemente. Insomma come dice Sinn, dopo la tempesta, il sole tornerà a sorgere ancora.

Ma come l'uscita dall'Euro aiuterà la Grecia in termini concreti ?

La renderebbe più competitiva, risponde Sinn esattamente come ragionavamo anche noi, ossia rendendo rapidamente più economici i prodotti Greci, e in modo tale da ridirezionare la domanda dalle importazioni verso la produzione domestica di beni. I Greci non compreranno più i pomodori e le olive dall'Olanda o l'Italia, ma dai loro propri coltivatori. E i turisti che sono andati via da una Grecia troppo costosa negli ultimi anni, tornerebbero. Oltretutto, nuovi capitali, fluirebbero all'interno del paese. I ricchi Greci che depositano così tanti miliardi, probabilmente centinaia di miliardi di euro in Svizzera, vedrebbero scendere il costo delle proprietà immobiliari e degli stipendi e avrebbero un notevole incentivo per cominciare ad investire nuovamente nel loro paese.

Ma l'uscita dall'Euro porterà la Grecia alla bancarotta ? Bisogna forzarne l'uscita ?

Esattamente l'opposto. La bancarotta forzerà l'uscita. I Greci uscirebbero immediatamente senza aiuti internazionali, poiché la bancarotta non può essere amministrata nel sistema dell'Euro. Lo stato sarebbe insolvente e il sistema bancario anche. L'intero sistema dei pagamenti crollerebbe. Il caos può essere evitato solamente se la Grecia esce lasciando svalutare la moneta immediatamente.
Questo non significa che debba essere forzata ad uscire. Ma allo stesso tempo i Greci non hanno diritto a ricevere assistenza finanziaria in modo permanente dagli altri paesi europei, così come i creditori Greci non hanno nessun titolo o diritto nel doversi far pagare i debiti dalla comunità internazionale. Ognuno dovrebbe guadagnarsi il proprio stile di vita, così come chi sceglie di investire soldi con un certo rischio, deve poi assumersi tale rischio.

E su quest'ultimo punto in particolare, siamo pienamente d'accordo. Ma del resto come la storia insegna conflitti, contese e guerre fra nazioni spesso anche per questioni economiche ossia di soldi, non ultimo di soldi investiti male o prestiti non restituiti. Il libero mercato ci ha dato la libertà anche di fallire e ci ha insegnato la responsabilità personale. Nel momento in cui tali principi vengono scavalcati perché “non si può fallire”, allora non c'è libero mercato fra tali nazioni, per varie ragioni, o ha in generale smesso di esserci da un pezzo.

Ma se la Grecia esce dall'eurozona, le misure di austerità saranno ancora necessarie ?

In questo caso, in realtà il risparmio corrisponde solo ad una riduzione della crescita del debito. Gli economisti solitamente si riferiscono al risparmio solo se il debito attuale è ripagato. Ma non c'è nessuna possibilità che la Grecia sia anche solo lontanamente vicino a fare una cosa del genere. D'altro canto è vero che la Grecia ha fatto uso di flussi di credito a basso costo dall'esterno, e per il quale è politicamente impossibile tagliare stipendi nella misura estesa necessaria a rendere il paese più competitivo.

I Prodotti Greci, continua Sinn, dovrebbero divenire circa il 30% più economici in modo da andare in pari con la Turchia. E questo si può avere solo attraverso un'uscita dall'Euro e svalutazione.
Senza svalutazione, milioni di listini di prezzi e stipendi contrattuali, dovranno essere riscritti. Questo porterà una radicalizzazione delle unioni sindacali e associazioni di commercio, spingendo il paese sull'orlo di una guerra civile. Oltretutto, le aziende andrebbero in bancarotta in quanto i loro assets si sfalderebbero ( shrink ) mentre i rispettivi debiti bancari resterebbero immutati. L'unico modo per ridurre il debito bancario è attraverso la svalutazione. Il piano di ristrutturare la Grecia nell'euro è illusorio.

Al contrario di quanto potremo pensare, Sinn infine accusa USA, Londra e Parigi di forzare la permanenza della Grecia nell'Euro per coprire e limitare le proprie perdite con i piani di salvataggio. Tutti sembrano dire che “se i tedeschi smettono di pagare, finirà il mondo”, ma “questo non è vero, ne sarebbero colpiti solo gli assets dei portafogli titoli di alcuni investitori”.

Pur essendo in buona parte concordi, riteniamo vi sia anche una certa complicità del governo tedesco, che a vario titolo ha scaricato il proprio debito sul resto dell'Eurozona lasciando le banche degli altri paesi con il cerino del debito in mano. Ricordiamo un'altra importante analisi nel merito che abbiamo scritto di recente:



Rimane ad ogni modo interessante analizzare un'aspetto diverso della questione sulle politiche di austerity in Europa.




  1. Default e Rinegoziazione

Il diritto di fallire, cardine del diritto liberista moderno, ma anche antico. 4 mila anni fa circa, gli antichi Sumeri, genitori di una civiltà commerciale mediorientale molto avanzata e per alcuni aspetti paragonabile anche alla nostra come complessità, capì molto bene che una società eccessivamente indebitata costituiva un ostacolo e un problema molto grande per il funzionamento dell'economia. Per questa ragione tutti i debiti personali, tipicamente nei confronti dello stato venivano cancellati ogni 7 anni o quando saliva un nuovo sovrano. In seguito si svilupparono norme che tendevano a tutelare i debiti fra privati, ma in ogni caso cancellando quelli principali verso il governo, si permetteva così all'economia di non venire schiacciata dal peso di un debito sistemico.

Anche nel nostro caso il debito è oramai sistemico ed eccessivo e tale indebitamento, per altro a fronte di politiche monetarie già piuttosto espansive, come osserva anche l'FMI non sta facendo altro che rallentare la crescita e promuovere la recessione complessiva. Una sua forte rinegoziazione è cosa considerata e proposto nientemeno anche dall'Inghilterra che parla esplicitamente di cancellazione del debito.
Ci troviamo del resto in condizioni simili agli anni '30 o nel '45 e sarebbe opportuno rinegoziare il debito pubblico per far ripartire l'economia, men che meno quando come abbiamo visto, parliamo di debiti derivati costruiti praticamente sul niente o su una “scommessa”.... a fronte di notevoli squilibri economici.

    A) Rinegoziare il debito in Italia

L'Italia avrebbe particolarmente da guadagnarci da un default o da una sua forte rinegoziazione in quanto il disavanzo primario ossia gli incassi dello stato al netto delle spese correnti escluso gli interessi, è piuttosto positivo a fronte peraltro di una bilancia commerciale non così avversa, che vede il made in Italy di qualità piazzarsi bene sulla scena globale. Questo significa che rinegoziando il debito l'Italia avrebbe circa 100 miliardi di Euro in più in bilancio, attualmente pagati come interessi. Questo significa anche poter tornare a piazzare il debito pubblico sul mercato reale e non nelle banche centrali and co., poiché saremo in grado di pagare interessi più alti così come il mercato ci chiede. Gli interessi attuali abbassati tramite l'intervento della BCE, oltre ad essere a lunga scadenza sono pure molto e troppo bassi spedendo il debito nelle mani delle banche nazionali o centrali estere e nei grandi investitori. Rinegoziandolo quindi significherebbe come all'epoca dei nostri nonni, riportare il debito nelle mani degli italiani e soprattutto abbassare la pressione fiscale.

B) La Grecia, la Germania e gli accordi di Londra del 1945

Il caso Grecia è certamente più delicato di quello Italiano in quanto come abbiamo visto, al contrario dell'Italia, soffre un crollo complessivo della produttività interna di gran lunga maggiore, con una bilancia commerciale molto avversa e di conseguenza un riscontro molto negativo nel bilancio della spesa corrente. Necessaria e urgente è quindi la svalutazione monetaria per la Grecia.

Ma andiamo al 1945, la 2a guerra mondiale era finita e a Londra si discuteva dei costi di ricostruzione e dell'enorme debito di guerra che aveva la Germania. Si capì all'epoca che accollare forti misure di austerity alla Germania per ripagare il debito della 1a Guerra Mondiale, aveva precipitato la nazione in una grave depressione, sino al crollo della Repubblica di Weimar, il caos e come conseguenza l'ascesa del Nazionalsocialismo. Per questa ragione, quando si parlava del pagamento del debito incluso quello verso la Grecia nel '45, si decise di non imporre forti misure di austerity alla Germania come fatto in precedenza. Si stabilì il pagamento del primo conflitto sino al 1933, ma a condizioni così vantaggiose che in pratica fu dimezzato. Il resto dell'immenso debito pubblico per la guerra globale scatenata da Hitler, fu invece rimandato ai decenni successivi quando la Germania si fosse poi riunita. La Grecia era all'epoca piuttosto contrariata e scettica sull'onorabilità futura di tale accordo da parte tedesca, ma alla fine forte dell'appoggio USA che risolveva così il problema tedesco, prevalse tale linea contribuendo alla grande crescita e miracolo tedesco. Capiamo quindi anche le basi legali su cui la Grecia, ma anche l'Italia, stretta nella morsa della politica economica tedesca, aveva quindi chiesto alla Germania il rimborso del debito di guerra, un costo importante, che Berlino ha però prontamente rifiutato di pagare ( un po' a tutti ), continuando a strangolare la Grecia con l'Euro e l'austerity. E' altresì incredibile denotare quanto la Germania del governo Merkel mostri in modo spietato ancora una volta scarsa memoria e scarsa gratitudine.
Si chiaro nessuno vuole qui criticare la dedizione dei cittadini tedeschi tanto al lavoro quanto al senso civico e progresso generale, né tantomeno si dimentica la grande lotta per la Libertà dell'Occidente contro il comunismo combattuta in Germania Ovest e a Berlino Ovest. Tuttavia siamo anche consci, per primi i tedeschi, che quella Germania libera e orgogliosa che con Khol stava ripagando molto bene il suo debito verso il continente per vari aspetti non esiste più, lasciando al suo posto il comportamento amaro e indigesto dei recenti governi tedeschi.








3) CONCLUSIONI

Se il potere corrompe, il potere assoluto, corrompe assolutamente

Charles Louis de Montesquieu



"Il mondo è pronto per raggiungere un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di una elite intellettuale e di banchieri mondiali è sicuramente preferibile all’autodeterminazione nazionale praticata nei secoli passati ."

- David Rockefeller, 1991 -


Sicuramente in questo contesto di grave inefficienza quando non corruzione del mondo delle grandi banche che hanno gravato le nazioni e i popoli con i ricatti del “too big to fail” ( troppo grandi per fallire ), si veda ad esempio il recente scandalo MPS, costituendo de facto imponenti politiche di cartello volute fortemente dalla global governance come la Trilateral, è sicuramente ilarico ricordare le parole di Rockefeller, fondatore della Commissione Trilaterale, di fronte la descrizione della stessa e della global governance elitaria di banchieri e ristrette cerchie di intellettuali, come sia “preferibile all’autodeterminazione nazionale” dei popoli.

Perché un investitore o imprenditore “comune”, se sbaglia investimenti sono fatti suoi, mentre se sbaglia una banca va salvata con i soldi dei contribuenti ? Nè tantomeno è accettabile tutta questa insopportabile omertà verso i banchieri quasi non siano mai colpevoli di niente. I banchieri sono certamente figure professionali importanti, ma sono professionisti e imprenditori come tutti gli altri. Se sbagliano e devono andare in galera o fallire, ci devono andare, così come succederebbe a chiunque altro, mentre invece si comportano come una setta.
Se la storia umana è progredita e si è evoluta lottando contro forme di governo autocratico verso forme di governo libero e democratico, ci sono delle ragioni, con poche eccezioni verso alcuni grandi statisti della storia.

Nel nostro articolo sul ruolo delle banche internazionali nel fallimento degli stati http://indipendenzaitaliana.blogspot.com/2011/09/crollo-delleuro-e-fallimento-degli.html, abbiamo visto come l'interconnessione esasperata dell'economia del debito si risolve una volta portati al fallimento le nazioni e preso il controllo dei loro bilanci tramite entità autocratiche bancarie e sovranazionali come il MES, nell'instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale e una forma di governo autocratico di stampo elitario dai contorni e modi di agire poco trasparenti. Rimandiamo all'articolo per maggiori approfondimenti, incluso la denuncia e le critiche di famosi banchieri che non condividono tali politiche.
Del resto sono tutte politiche non a caso piuttosto aliene dal libero mercato o American Capitalism e difatti duramente criticate nei decenni scorsi, in modo particolare negli anni '50 e primi anni '60, ma ci torneremo.
Rimandiamo anche ad un altro articolo basato su documenti ufficiali dell'ONU e relative politiche promosse in tale direzione:


Leggiamo dal sito ufficiale della Commissione Trilaterale:

Growing interdependence is a fact of life of the contemporary world. It transcends and influences national systems. It requires new and more intensive forms of international cooperation to realize its benefits and to counteract economic and political nationalism”.

In altre parole l'obbiettivo principale della Trilaterale è promuovere l'interconnessione internazionale. Fino a non molto tempo fa il sito della Trilaterale faceva accento su come tale interconnettività economica aveva permesso infatti alla crisi di espandersi rapidamente forzando così le nazioni ad una sorta di cooperazione. Si vedeva in un certo senso di buon occhio anche la riduzione del ruolo degli Stati Uniti scendendo al tavolo della cooperazione con nazioni come la dittatura comunista cinese o il la dittatura islamica in Iran. Si è visto ampiamente come previsto il colossale fallimento di tali politiche e anche la sua pericolosità insita. Come diciamo da sempre tale interconnettività esasperata è come la costruzione di una portaerei senza paratie.

E' certamente vero che una condivisione di interessi economici, spinge verso una maggiore cooperazione. Ma è altrettanto vero che come testimonia la storia, la sola condivisione di interessi economici non è mai sufficiente di per sé a promuovere né tantomeno garantire una maggiore cooperazione, ma anzi può essere la premessa per conflitti e tensioni. Non è raro infatti nella storia che la sola condivisione economica priva di un fondamento di valori e ideali etici e morali condivisi, sia stata la premessa per rafforzarsi prima di un futuro conflitto e guerra espansionistica. Si veda ad esempio il blocco imperiale Romano libero e civile contro le realtà più tribali e guerigliere, il blocco del Cristianesimo Europeo contro le invasioni islamiche o il blocco della NATO a difesa della libertà contro il comunismo: in tutti questi casi la premessa non sono i solo i legami economici, ma l'unità morale e di valori. Tanto più che legami economici talvolta c'erano anche fra blocchi avversi.
Le idee multiculturalistiche dell'Unione Sovietica dell'Internazionale Socialista che dalla caduta del muro di Berlino hanno iniziato ad essere discusse più liberamente anche negli ambienti della governance in Occidente, hanno portato lo svuotamento dell'etica e della morale in nome di un'aliena e impersonale politica di cooperazione forzata. Come abbiamo visto non ha mai funzionato nella storia e non funziona neanche oggi. Ricordiamo ad esempio le ammissioni pressoché congiunte, dei leader politici europei che negli scorsi anni dichiaravano il fallimento delle politiche di integrazione multiculturale in Europa, in modo particolare verso gli islamici, ma non solo secondo alcuni.

Ronald Reagan inaugurando lo scudo stellare disse rivolgendosi ai vari leader del mondo che “se fossimo invasi dagli alieni, saremo certamente tutti più uniti”.
E' chiaro quindi che nel promuovere una maggiore unità nel mondo, bisogna promuovere maggiori valori morali ed etici che siano peraltro in grado di rafforzare il senso della famiglia  e non ostacolarli in tutti i modi delineando uno forma di stato ateo, freddo e inumano.

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